Matteo Codignola, “Vite brevi di tennisti eminenti”

Se si dovesse chiedere alla gente comune (scrivente incluso) quale sia lo sport agonistico più cerebrale, ovvero quello che mette sotto pressione psicologica i giocatori che lo praticano più di altri, credo che a pochi verrebbe da citare il tennis. Lo si direbbe un’attività così divertente, certamente atletica e magari faticosa ma in fondo che sarà mai? Basta buttare la pallina oltre la rete cercando di non farla prendere all’avversario… Di contro, lo scrivente suddetto (che in anni giovanili è stato un appassionato giocatore di tennis, almeno quanto è stato mediocre ma comunque convinto che avrebbe migliorato molto, se ne avesse avuta l’occasione) ha avuto la fortuna di leggersi molti dei testi dedicati a tale disciplina sportiva da David Foster Wallace il quale è stato uno dei migliori autori della sua generazione ma, prima, un tennista di buona caratura (nei circuiti giovanili americani), e che sovente ha dissertato sulla particolare dimensione psicologica, o psicosomatica, che il tennis impone ai suoi praticanti in maniera proporzionale al livello raggiunto e che si manifesta con quantità industriali di stress, non solo agonistico, che ha stroncato numerose carriere di tennisti altrimenti talentuosi nella tecnica. Insomma: sì, il tennis è uno degli sport mentalmente più faticosi in assoluto, ma tale supersforzo ineluttabile ha di contro contribuito a generare, tra i giocatori dei personaggi – o delle personalità – notevoli, creative, sovente originali se non bizzarre. E se poi oggi la disciplina è ormai ben regimentata entro una gestione della prestazione sportiva quasi scientifica e rigidi diktat commercial-mediatici che hanno inglobato anche certe sue “norme” primordiali (come quelle da sempre in vigore a Wimbledon, che resta il più importante torneo al mondo non fosse altro perché il championship di chi ha inventato il tennis odierno), fino agli anni Settanta del secolo scorso ovvero prima dell’era del circuito professionistico, degli sponsor e di tutto ciò che caratterizza il tennis oggi, i tennisti si palesavano spesso come dei simpatici guasconi, con proprie fisse un po’ particolari e con una gestione del proprio talento sportivo non di rado dozzinale ma di contro con un gusto estetico, cioè per l’estetica del gesto tennistico, a volte quasi più importante del punto guadagnato con esso, e più apprezzato anche dal pubblico.

In Vite brevi di tennisti eminenti (Adelphi, 2018), Matteo Codignola ci porta alla scoperta di quel periodo così particolare e probabilmente irripetibile vissuto dal tennis e dai suoi appassionati tra gli anni Trenta e i Settanta del secolo scorso, quando appunto sui campi da tennis in giro per il mondo sono comparsi giocatori tanto talentuosi quanto stravaganti, inteso tale termine sia in modo positivo che anche no. Prendendo le mosse dal ritrovamento casuale di un tot di vecchie immagini di quell’epoca raffiguranti tennisti all’opera in un mercatino di robivecchi alle porte di Milano, Codignola seleziona alcune immagini e racconta frammenti delle storie e delle vite dei tennisti che le stesse mostrano, ricavandone aneddoti affascinanti, spesso divertenti e non di rado sorprendenti, o sconcertanti []

[Immagine tratta da www.ravennatoday.it.]
(Potete leggere la recensione completa di Vite brevi di tennisti eminenti cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)

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1 commento su “Matteo Codignola, “Vite brevi di tennisti eminenti””

  1. hai ragione. Il tennis consuma molte personalità. Basta pensare al ritiro di Barthy, numero uno del tennis femminile, a soli 22 anni. Motivazione: “Non esiste solo il tennis”.
    Anche i miei trascorsi giovanili e anche qualcosina in più 😀 parlano del tennis. Una vera schiappa ma mi divertivo a inseguire una pallina colorata di giallo.

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