Tiziano Fratus, “Sutra degli Alberi” (Piano B Edizioni)

«Sutra: s. m. [voce sanscr., propr. «regola, norma di comportamento»], invar. – Nella letteratura e nella cultura dell’India antica, denominazione di aforismi brevissimi (generalm. di due o tre parole) di carattere religioso e rituale, grammaticale e letterario, filosofico e scientifico; tali aforismi, accompagnati da minuti commenti, indispensabili per l’estrema concisione degli aforismi stessi e per il significato convenzionale attribuito ad alcune lettere che li compongono, sono raccolti in speciali trattati, detti anch’essi Sutra.»

Questo sono i Sutra, leggendo la definizione sul Vocabolario Treccani. Una nozione sicuramente importante per il volume del quale vado a raccontarvi ma, se possibile, nella definizione c’è un passaggio che nello specifico lo è anche di più, a mio modo di vedere: quando si denota che i Sutra «sono raccolti in speciali trattati, detti anch’essi Sutra». Ecco: Tiziano Fratus, Homo Radix, scrittore, poeta, buddista agreste, dendrosofo ovvero uno dei maggiori conoscitori delle comunità arboree italiane e mondiali con le quali ha nel tempo costruito e intessuto una relazione che può ben essere definita spirituale in modo pieno e compiuto (nonché persona di gran valore generale della cui conoscenza mi onoro grandemente), di libri su questi temi che prendono la forma di trattati – o silvari, nella terminologia coniata da Fratus stesso – ne ha scritti parecchi e tutti intriganti, alcuni estremamente affascinanti. Tuttavia Sutra degli Alberi (Piano B Edizioni, Prato, 2022), in base alla mia personale esperienza di lettura dei testi dello scrittore bergamasco, assume veramente i connotati di un trattato speciale, dall’anima profondamente letteraria e parimenti spirituale, meditativa tanto quanto pragmatica, che nella produzione di Fratus mi pare rappresenti un vero e proprio apice, un sunto di quanto vissuto prima (editorialmente e umanamente), una sorta di affascinante manifestazione della volontà di porre un punto fermo, di carattere personale ma assolutamente condivisibile, che faccia da fulcro attorno al quale si possa avviluppare il pensiero passato – che poi di frequente è stato messo nero su bianco nei vari libri pubblicati – e dal quale possa prendere spunto quello futuro.

D’altro canto, Sutra degli Alberi è un trattato “speciale” anche perché compendia un’esperienza spirituale altrettanto speciale: il “buddismo agreste”, o “zen silvestre”, singolare e poco avvezza a templi e comunità istituzionali, che Fratus ha elaborato e che pratica ormai da tempo con sensibilità e rigore, virtù nutrite dalla costante frequentazione dei boschi e dal legame con gli alberi che vi dimorano – e proprio ciò definisce inevitabilmente e completa il titolo di questo libro. Un’esperienza di meditazione, riflessione, filosofia attraverso la quale l’autore determina continuamente il mondo nel quale vive e con la quale dà valore alle relazioni personali, ricavandone di contro percezioni, visioni e considerazioni che poi annota nei propri silvari e in particolar modo in Sutra degli Alberi.

In un articolo recente intitolato Tra i grandi alberi, pubblicato sulla rivista dell’Unione Buddhista Italiana, Fratus pone a se stesso alcune domande: «Quando ci presentiamo dinnanzi ad un grande albero chi siamo? Siamo ancora noi, con tutti i nostri pensieri, con tutti i nostri desideri, con tutte le nostre faglie sconnesse e le cuciture blandamente doloranti? Siamo questo solido groviglio o iniziamo già ad essere altro? E meditandoci a fianco, accanto, appoggiati al tronco, seduti a gambe incrociate sopra le radici, siamo noi o lentamente diventiamo l’albero? Diventiamo parte dell’albero? Ne diventiamo una propaggine? Mesciamo nel nostro fare silenzio il silenzio che abita questi colossi del tempo? Sono tutte domande alle quali cerco di dare una risposta da diversi anni.»

Ecco, in Sutra degli Alberi forse non ci sono le risposte a questi interrogativi – anche perché risposte certe al riguardo non ci possono essere, per fortuna – ma ci sono innumerevoli sentieri meditativi tra alberi che in effetti si fanno anche manifestazione dei vari vissuti della nostra esistenza. Sentieri che Fratus ha seguito nella sua ricerca e che parimenti al lettore viene spontaneo seguire, per quanto la scrittura che li traccia risulti in tal senso affascinante, intrigante, illuminante. D’altro canto, lungo tale cammino si raccoglie, tra le tantissime, un’altra “non risposta chiarificatrice” ovvero un impulso di grande profondità e forza proficua, oltre che ben identificante la filosofia dell’autore: «La pratica di meditare in natura e di percorrere un minimo sentiero nel Buddhismo Zen si sono oramai fusi insieme, tanto da germinare un’espressione in latino che propongo ogni tanto giocosamente: Zen atque natura matres sunt, lo Zen e la natura sono madri.» L’unione tra immateriale e materiale, tra intelletto e corpo, tra l’ambito spirituale e quello fisico e ugualmente tra pensiero e azione: in fondo queste piccole, profonde illuminazioni, pur non rispondendo in senso assoluto a certe domande come quelle sopra citate ovvero ai cosiddetti “interrogativi fondamentali” della vita (a partire dai basilari “Chi siamo? Cosa facciamo? Dove andiamo?” eccetera) che ciascuno di noi è portato a formularsi, prima o poi, comprenderete bene che rappresentano realmente dei sentieri ben definiti, delle buone vie da seguire sulla quali “camminare” facendo che ogni passo e ogni sguardo che lo muove – ogni lettura e ogni pagina – possano diventare volta per volta una cognizione in più che si aggiunge alla nostra comprensione della vita, del mondo e di noi stessi che ci stiamo “dentro”, al di là del bene e del male.

Insomma, Sutra degli Alberi è un libro potente, profondo, bellissimo da leggere, affascinante, illuminante – trovo quest’ultimo termine appena ribadito il più azzeccato al riguardo, forse. E nulla conta che si possa essere tanto o poco o per niente interessati alle filosofie orientali, al buddismo e allo zen o qualsiasi altra cosa affine: comunque il libro resta intensamente bello da leggere, persino nelle parti ove Fratus più dettagliatamente si addentra negli elementi costitutivi di quelle pratiche spirituali – una capacità realmente notevole, questa: ad esempio anche le pur brevi biografie di alcune delle figure storiche più importanti del buddismo che occupano una parte del libro, delle quali forse a molti potrebbero interessare poco o nulla, risultano piacevolissime quando non intriganti da leggere. Un pregio letterario raro, appunto, che forse come in nessun altra sua opera Fratus qui rende intenso e offre al più puro godimento della lettura.

Bene, potrei chiudere qui questa mia “recensione” ritenendola, per quanto mi riguarda, compiuta. Ma alle pagine 52-53 di Sutra degli Alberi, l’autore esplica con insuperabile chiarezza quale sia l’anima profonda del libro, in un intenso brano che non posso non proporvi di seguito e che mi sembra sia la migliore chiosa possibile a questo mio scritto:

«Sutra degli alberi parte – mi piacerebbe dire “sorge” – dalla considerazione che il buddismo è un ventre ricco di pietre preziose, un tesoro di insegnamenti, una nazione di tradizioni intrecciate che possono realmente aiutare noi e i nostri simili a vivere meglio, a dedicarci più al nostro presente che non a tutte le nostre proiezioni e dipendenze passate e future; meditare in natura è piacevole, è rinvigorente, ci può aiutare a vivere con maggiore presenza, consapevolezza, profondità. Queste ovviamente non sono pagine rivolte anzitutto ai buddisti praticanti, non è un’opera confessionale, di certo non fonderemo alcuna scuola; come ho già ribadito i templi più maestosi e ricchi sono già lì, fuori dalla finestra, sotto la pioggia che li battezza e accarezza: i boschi, le riserve, le foreste, i giardini. Magari basterà questo a moderare tutte le nostre ostinate pretese, a ridimensionare le ambizioni, fonti di tante delusioni, di asprezze, di dolori che tratteggiamo nei cuori, nelle nostre famiglie o nelle comunità, nonché delle guerre che purtroppo continuano a dissanguare il pianeta. […]  Poiché l’uomo che s’inoltra in natura capisce da solo, un’esperienza dopo l’altra, che la vita non ha una direzione obbligata, che tutto – a partire dal tempo che ci è dato, dalle energie che giostriamo, dai desideri e dai limiti con i quali ci forgiamo e misuriamo – è un dono senza un senso preciso: siamo la vita che decidiamo di indossare.»

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