David Foster Wallace, “Una cosa divertente che non farò mai più” (Minimum Fax)

Sovente si ha l’impressione, nei casi di suicidio di personaggi pubblici e ovviamente tralasciando qualsiasi riflessione sulla mera tragicità di essi, che siano serviti a perpetrare e immortalare, nel vero senso della parola, la conoscenza di quei personaggi, facendo in modo che se ne parli più di quando erano vivi. Molte volte ciò è avvenuto senza reali meriti oggettivi e più per via della suggestione popolare; in altri casi – purtroppo e ribadisco: purtroppo! – le improvvise e tragiche dipartite hanno contribuito a dar modo di parlare pubblicamente di personaggi che, altrimenti, sarebbero rimasti nell’ombra o poco fuori, pur invece detenendo meriti assolutamente degni di essere considerati da pubblici ben più vasti. E’ d’altronde una considerazione ben nota, questa, tanto quanto amara: in certi casi solo la sempiterna presa suggestionante della morte sulla superficiale opinione pubblica sa donare quella celebrità che una vita intera di impegno e di lavoro non ha saputo dare…
David Foster Wallace è, a mio parere, un caso emblematico di quanto sopra esposto. Veramente non so quanto si sarebbe parlato di lui e dei suoi scritti – al grande pubblico al di fuori dei natii USA – senza il suo tragico e per certi versi inspiegabile suicidio. E infatti, ad esempio, tanto si è parlato e scritto di lui lo scorso febbraio, in occasione del suo “virtuale” cinquantesimo compleanno; in ogni caso, quando si parla di autori letterari forse più che in altri ambiti artistici, non bisogna mai scordare che sono i libri a parlare e parlarci di chi li ha scritti, e senza dubbio più per scelta personale che per quanto letto in giro, ho voluto che di David Foster Wallace mi potesse parlare Una cosa divertente che non farò mai più, da poco riedito da Minimum Fax con la traduzione di Gabriella D’Angelo e Francesco Piccolo. Non un romanzo, non un lavoro letterario vero e proprio ma una sorta di reportage narrativo, ovvero un resoconto giornalistico su una vacanza in nave da crociera extralusso ai Caraibi (la “cosa divertente che non farà mai più”, appunto) che gli venne commissionato dalla nota rivista americana Harper’s e che, tra le “mani” letterarie di Wallace, è diventato infine una sorta di docu-fiction letterario su quell’esperienza e sulla tipica società americana che abitualmente la compie – e voglio dire che la parte “fiction” non è data dall’aver inventato, l’autore, qualcosa, semmai dall’aver romanzato con stile umoristico e sarcastico, appunto, una realtà assolutamente contemporanea, e peraltro non solo americana, anzi! Inutile dire, infatti, quanto anche da noi la vacanza in crociera sia popolare (nonostante la Costa Concordia e il “buon” comandante Schettino), e il suo senso “globalizzato” fa del libro di Wallace una lettura buona per ogni latitudine.
L’autore ci accompagna così in questa settimana di navigazione a bordo della m.n. Nadir, della Celebrity Cruises (l’acronimo “m.n.” sta ovviamente per motonave, ma Wallace lo usa molto più spesso come “meganave”, per sottolinearne l’esagerata grandezza ma anche l’esagerazione di ciò che rappresenta. Inoltre in verità la nave si chiama Zenith, ma lo scrittore americano la ribattezza Nadir perché così farebbe ogni burlone, come egli ammette fiero d’essere) insieme a circa millecinquecento suoi connazionali e all’equipaggio di quasi pari entità: una piccola città semovente nella quale tutto è luccicante, splendente, affascinante; sulla quale tutto funziona con la precisione di un orologio svizzero; a bordo della quale l’imperativo di chi ci lavora è soltanto uno: viziare il cliente, ovvero fare in modo che tutto quanto egli vivrà nella settimana di navigazione sia, in un modo o nell’altro, indimenticabile. Ovvero: un intento lodevole, tanto quanto inevitabilmente artificioso, e Wallace ne offre numerose testimonianze, tracciando il proprio resoconto. Artificioso fin dall’inizio, dalle brochure promozionali che promettono ciò che il potenziale cliente vuole sentirsi promettere; dal programmare l’attività di bordo in modo coinvolgente al punto che cercare di sottrarsene fa sentire asociali e misantropi; dall’offrire visite nei luoghi di attracco talmente regimentate e limitate – nonché sempre collettive, dunque soffocando in principio il vissuto personale che è fondante e fondamentale nel viaggio – da fare di questo aspetto turistico della vacanza, alla fine, un qualcosa di scolastico (nel senso proprio di scolaretti portati a fare un giretto da brave/i maestre/i) In generale, insomma, la personale morale che Wallace ci offre dell’esperienza-crociera vissuta è che tutto quanto non sia che una luccicante e parimenti definitiva declinazione del vivere consumistico contemporaneo, nella quale ci si può sentire bene e appagati soltanto se non ci si riflette sopra, e ci si lascia viziare, appunto, in un totale lassismo vitale che annulli qualsiasi senso ed essenza del “viaggio” e/o della “vacanza” nell’accezione più autentica e virtuosa di tali termini. Perché, al contrario, se si prende a riflettere e a prendere coscienza di ciò che si sta vivendo, la depressione è dietro l’angolo, sostiene l’autore.
Il tutto, Wallace lo fa con una scrittura effettivamente fatta di cronaca di matrice giornalistica e rifinitura di stile letterario, piuttosto tipicamente americana nella forma, in certi passaggi ricercante una certa aulicità contemporanea mentre in altri, più rari, che diventa forse un poco troppo superficiale e legata ad un luogocomunismo abbastanza ovvio. Non si può nemmeno dire che questi appunti rappresentino “nei” dell’opera, per come, in ogni caso, risultano funzionali alla narrazione la quale, pregio mirabilissimo, si mantiene sempre divertente e coinvolgente.
Inoltre, lo devo proprio dire, quanto racconta Wallace sulla realtà delle vacanze in crociera mi trova perfettamente d’accordo. Per me, che intendo una “vacanza” come un autentico e quanto più netto distacco dalla ordinaria quotidianità, nonché una ottima occasione (spesso l’unica, nell’anno) per conoscere e immergersi in mondi sociali e culturali diversi dal solito, fatico veramente tanto a comprendere come si possa definire “vacanza” l’andarsene in giro per mare (un mare che non è nemmeno protagonista del viaggio ma solo mero “mezzo” utile ad esso) stipati a migliaia dentro un enorme condominio galleggiante nel quale ogni cosa – orari, attività, ricreazioni, interessi, scelte – è soggetta al controllo di altri… E’, a ben vedere, un’esperienza “vacanziera” assolutamente figlia della società liquida baumaniana e dell’edonismo consumistico postmoderno (per restare in ambito sociologico), e alla fine è ancora Wallace a riassumere indirettamente il senso di essa compendiandola in due affermazioni che fanno l’una da motteggio iniziale del viaggio, l’altra da sentenza finale, ovvero tra il facciamo tutto! che è la promessa che lo staff di bordo fa ai crocieristi, e “la settimana di assolutamente niente” che invece lo stesso Wallace rimarca alla fine dello scritto – realmente come frase di chiusura del libro.
Ma, sia chiaro, si potrebbero obiettare cose simili nel senso per ogni altra vacanza di natura “commerciale” contemporanea, e ovviamente ognuno è libero di fare e viaggiare come meglio crede. Dunque andateci in crociera, e magari, prima leggetevi Una cosa divertente che non farò mai più. Oppure, se non ci volete andare, leggetelo comunque: potrebbe essere un’ulteriore prova a favore della vostra scelta, oppure un motivo per testarla direttamente!
Insomma, è una lettura bella, divertente e interessante, capace, pur nella sua leggerezza, di rivelare le potenzialità letterarie che, purtroppo, Wallace ha deciso qualche anno fa di non svelarci più oltre. Credo che per comprendere con maggiore chiarezza e profondità la scrittura dell’autore americano, nonché per generare un proprio giudizio più adeguato e consapevole su di essa, sia necessario leggere anche (e soprattutto) la sua produzione più prettamente letteraria; ma, appunto, Una cosa divertente che non farò mai più è un buon motivo per parlare di Wallace partendo dall’elemento primario, i suoi libri e, probabilmente, anche per comprendere un poco di più la sua vicenda umana.

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5 pensieri su “David Foster Wallace, “Una cosa divertente che non farò mai più” (Minimum Fax)”

  1. Pingback: Veneziafagìa |
    1. Grazie Alessandra, per il tuo apprezzamento (sempre mooolto gradito) e per la condivisione di quanto ho scritto.
      Figurati, per me che sono anti-crocierista da sempre (per quanto mi riguarda, ovvio, poi ognuno è libero di fare ciò che vuole), quel libro è un po’ come la Bibbia per un teologo ebreo! 🙂

  2. Pingback: I più furbi

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