Fin dai primi tempi in cui l’uomo ha cominciato a frequentarle e abitarle, le montagne sono diventate un “inevitabile” habitat per creature soprannaturali d’ogni genere e sorta, mostri, draghi, demoni, uomini selvatici e quant’altro, e di conseguenza una fonte ricchissima di relative leggende e mitografie: quasi ovunque l’uomo, per scelta o gioco forza, non fosse giunto a abitare e adattare il territorio alle proprie esigenze – boschi, vette, ghiacciai, forre, eccetera – vi era il regno del mistero e del pericolo: una dualità tra mondo umanizzato e mondo selvaggio sulla quale si è dipanato buona parte dello sviluppo culturale della montagna e della relazione degli uomini con essa dalle frequentazioni primitive fino all’era industriale. Poi, appunto, il progresso ha fatto svanire pressoché tutta quella dimensione sovrannaturale e i timori d’un tempo ad essa legati sono diventati sollazzi folcloristici che il turismo ha sovente inglobato nelle proprie manifestazioni e non di rado banalizzato, dimenticandosi l’antica e emblematica storia culturale che stava alle spalle.
Ma c’è un momento, durante il corso dell’anno, nel quale il sovrannaturale montano torna a manifestarsi, un momento condiviso nella forma con il resto del mondo ma nella sostanza parecchio diverso e ben più significativo, dunque molto più affascinante: il carnevale. Sulle Alpi – e non solo, ma nella regione alpina soprattutto – il carnevale non è un semplice periodo di feste e scherzi dal carattere meramente ricreativo, anche se all’apparenza può sembrare così. In molti carnevali delle Alpi, infatti, tornano in superficie molte di quelle creature sovrannaturali ovvero di quelle leggende, mitografie, superstizioni, fantasie, narrazioni che, se nella forma attuale sono state modellate dal basso Medioevo in poi assumendo i vari caratteri dei relativi momenti storici, a uno sguardo più attento palesano le origini ancestrali e misteriose che riportano direttamente a miti pre-cristiani e pagani, ancor più antichi rispetto alle Dionisie greche e ai Saturnali romani dai quali viene fatto derivare il senso del carnevale odierno (pur con la sua caratterizzazione prettamente cristiano-cattolica) e soprattutto peculiari rispetto all’ambito alpino e montano nonché alla relazione con esso delle genti che nei secoli lo hanno antropizzato.
Carnevali e folclore delle Alpi, edito nel 2012 dall’Associazione culturale LOntàno Verde e curato da Luca Giarelli, membro della Società Storica e Antropologica di Valle Camonica, rappresenta un ottimo compendio sul tema raccogliendo una serie di interventi su alcuni dei più significativi carnevali e delle feste in costume della catena alpina, sulle loro caratteristiche e sulle maschere che li animano, nelle quali si ritrovano la gran parte delle ancestrali creature sovrannaturali di cui ho detto poco fa. Il volume consente un vero e proprio viaggio etnologico, antropologico, folclorico e storico lungo l’intera regione alpina italiana, dal Piemonte fino al Friuli, con alcune puntate oltre confine in Svizzera e in Austria, incontrando in ogni luogo le mitologie che animano i festeggiamenti tra il periodo natalizio e la fine dell’inverno e che caratterizzano il folclore locale. Si può così trovare, per citarne qualcuno, l’Uars et sel (orso di segale) di Valdieri, il «Gorrisio» del Bal do Sabre (ballo delle spade) di Bagnasco, il celebre Homo Salvadego delle Alpi Bergamasche e Retiche, il Badalisc di Andrista, le Schnabelperchten di Rauris in Austria, San Nicolò e i Krampus di Vipiteno e così via. Insieme ad essi, si può fare la conoscenza di altri elementi assolutamente peculiari, sovente unici, per i carnevali alpini, come i riti della Scasada dol zenerù delle valli bergamasche e in genere quelle pratiche – più o meno mascherate – di “cacciata” dell’inverno e di risveglio primaverile della natura molto diffusi sulle Alpi, o come la tradizione delle Guggenband, particolari bande musicali che animano i carnevali svizzeri tra Ticino e cantoni di lingua tedesca, l’elezione del Podestà dei matti di Bormio o le peculiari manifestazioni mascherate delle valli del Sud Tirolo occidentale nelle quali si manifesta con particolare messa in scena un’altra pratica rituale tipica delle Alpi, l’aratura simulata, che insieme ad altri tradizioni correlate rimanda a antichi riti di fertilità di genesi pagana.
Bisogna certamente denotare che, molto spesso, i carnevali alpini sono stati annacquati da adattamenti a mero scopo turistico ovvero da intrusioni carnevalesche più ordinarie e assai meno peculiari – come i classici carri con figurazioni di cartapesta dileggianti i “potenti” di turno, ad esempio – ma, come ripeto, non è difficile ritrovare in essi molti degli elementi più antichi, caratteristici e culturalmente identitari, che non di rado diventano palesi e conservano ancora tutta la loro aura di fascino e mistero. A tal proposito, ciò che trovo profondamente affascinante nell’analisi dei vari carnevali alpini (che, per inciso, sono tanti ma molti meno rispetto a un tempo, visto che in numerose località la consuetudine dei festeggiamenti si è purtroppo persa ovvero è stata dimenticata) è il ritrovare in ognuno di essi alcuni elementi condivisi che ne denotano una ancestrale origine comune e, parimenti, un antico sapere condiviso. Per citarne alcuni: la presenza irrinunciabile del selvatico soprannaturale, rappresentato dalle varie creature non umane (uomini selvatici, orsi, draghi, demoni) ma che con gli umani intrattengono particolari relazioni più o meno amichevoli; la raffigurazione della dualità (già accennata prima) come immaginario da sempre presente sui monti che connette i diversi elementi che ne formano il paesaggio e la quotidianità: umano/animale, territori abitati/territori selvaggi, prato/roccia, villaggio/bosco, utile alla sussistenza quotidiana/inutile e così via, l’elenco al riguardo può essere parecchio lungo e, alla fine di tutto, tali dualità rimandano a quella fondamentale e ineluttabile in un ambiente per molti versi difficile come il territorio alpino, quella vita/morte; la presenza della pratica di “cacciata” dell’inverno e del suo clima sfavorevole per agevolare il ritorno della bella stagione e la rinascita primaverile della Natura, necessaria ad una quotidianità finalmente più agevole dopo gli stenti invernali; i correlati accenni ad antichi riti di fertilità di origine presumibilmente pagana; la notevole e sorprendente constatazione di un codice espressivo comune che viene espresso in forme differenti ma in semantiche similari ovunque nelle Alpi (ad esempio in certi mascheramenti che, con piccole differenze, si ritrovano tanto a occidente quanto a oriente: gli Arlecchini, ad esempio, che sono poi la versione alpina della figura del trickster, oppure le varie interpretazioni della figura dell’uomo selvatico), e che risulta profondamente identificante il carattere parimenti similare delle genti che abitano la regione alpina. Ne esce fuori una sorta di “carta d’identità mascherata” generale e distintiva delle Alpi e delle genti alpine, nonché l’importanza fondamentale di questi festeggiamenti carnevaleschi, o simil-tali, che se da una parte il turismo può contribuire a salvaguardare, dall’altro non può e non deve banalizzare come fossero mere manifestazioni folcloristiche e ludiche. No, sulle Alpi il carnevale non è il “solito” carnevale: è qualcosa di più ancestrale, misterioso, peculiare, antropologico, identitario; è il momento dell’anno come forse in nessun altro nel quale le Alpi antropizzate mostrano la loro anima più autentica ovvero una sua parte profonda e fondamentale, che è bene conoscere e della quale bisogna avere la più sensibile consapevolezza.
Per tutto questo, Carnevali e folclore delle Alpi è un volume (che potete trovare facilmente in molte librerie on line) di notevole importanza e di lettura intrigante; in fondo rappresenta pure un’indiretta guida di viaggio “alternativa” verso località alpine che, nella particolarità dei loro carnevali e del folclore locale, palesano anche la bellezza dei luoghi e dei propri paesaggi: tutti meritevoli di una visita, senza alcun dubbio.