Silvia Calamati, “Qui Belfast. Storia contemporanea della guerra in Irlanda del Nord” (Red Star Press)

Sono sempre stato “affascinato” – no, aspettate un attimo, il termine è sbagliato se non preciso che deve essere interpretato nell’accezione più buia possibile: sarebbe meglio dire (ma comunque con qualche riserva) sgomentato – dai Troubles, il conflitto che tra gli anni Sessanta e Novanta del secolo scorso coinvolse l’Irlanda del Nord e le sue due comunità, quella protestante unionista leale a Londra – per ciò detta anche lealista – e quella cattolica repubblicana (maledette religioni, ovunque motivo di guerre e atrocità!), invocante la riunificazione con Dublino. Un conflitto settario a bassa intensità, non una vera e propria guerra nel senso classico del termine eppure costellato di eventi sconvolgenti, a volte veramente terrificanti come nelle guerre più atroci, il tutto in una delle terre europee più ricche di storia, di identità, di cultura, di tradizioni grandi e nobili oltre che di bellezza paesaggistica. Proprio questa è l’evidenza che mi ha più cupamente “affascinato” e sgomentato del conflitto nordirlandese, combattuto in pratica tra “cugini” (se non tra fratelli), persone che fino a fino a un certo giorno prima degli scontri vivevano fianco a fianco e qualche giorno dopo si sparavano addosso e si facevano saltare in aria.

Silvia Calamati si occupa del conflitto nordirlandese dal 1982 per la RAI e per diverse altre testate italiane e estere, è dunque tra le massime conoscitrici della storia degli scontri tra lealisti e unionisti, non solo dal punto di vista della mera cronaca dei fatti ma pure dei contesti geopolitici, sociali, culturali, umani. In Qui Belfast. Storia contemporanea della guerra in Irlanda del Nord (Red Star Press, 1a edizione 2013) raccoglie una cospicua serie di articoli giornalistici a sua firma oltre che di altri corrispondenti locali usciti sui media europei tra il 1984 e il 2012 a cui fa raccontare il conflitto come attraverso un reiterato rewind dei fatti, dei momenti in cui sono accaduti, delle reazioni, delle testimonianze e dunque dei testimoni, dei protagonisti di quelle vicende nel bene e nel male. Un percorso lungo quasi trent’anni che si compie passo dopo passo ovvero evento dopo evento, per certi versi complicato perché la geopolitica locale del conflitto fu piuttosto intricata, con i vari gruppi paramilitari contrapposti, le sigle sovente simili che li identificano, gli intrecci reciproci e con le forze militari regolari o con le organizzazioni di intelligenze britanniche attive nel contesto, per altri versi sgomentante (appunto) in forza degli episodi narrati e dell’efferatezza di alcuni: basti citare il celeberrimo, famigerato Bloody Sunday o la terrificante storia degli Shankill Butchers, gruppo terrorista lealista che usava metodi del tutto analoghi a quelli degli estremisti islamici dell’ISIS che hanno scioccato il mondo quarant’anni dopo, oppure le tante morti nelle carceri per torture, crudeltà d’ogni sorta, scioperi della fame, esecuzioni sommarie. D’altro canto, per altri versi ancora la lettura di Qui Belfast risulta profondamente significativa e emblematica per la conoscenza e la comprensione della storia recente di quella parte di Europa e, di rimando, per l’intero continente stesso, così “unito” – infatti istituzionalizzatosi in una “comunità europea”, appunto, al netto della Brexit) – eppure costantemente incapace di costruire al suo interno un periodo di tempo prolungato senza guerre e conflitti (vedasi quelli in Serbia e tra Ucraina e Russia), nonostante abbia vissuto la tragedia del secondo conflitto mondiale, la più grande della storia e, si direbbe, ammonente per il futuro.

Va detto che Qui Belfast è un libro che dichiaratamente sta dalla parte dei cattolici repubblicani e che di conseguenza, dalla sua lettura, l’immagine della Gran Bretagna in relazione al momento storico in questione ne esce molto male. Di contro è vero che, al di qua della Manica, il conflitto nell’Ulster si è manifestato soprattutto con le notizie degli attentati del Provisional IRA (da noi noto semplicemente come IRA), il principale gruppo paramilitare repubblicano, che nel libro vengono puntualmente citati e stigmatizzati, così che l’impressione per l’uomo comune per lungo tempo è stata quella che lassù ci fosse un gruppo di terroristi che disseminava bombe qui e là tra Irlanda e Inghilterra e che i soldati inglesi operassero per ripristinare la giustizia – sostanzialmente i primi “cattivi” e i secondi “buoni”, insomma. Ben poco si sapeva di tutto il resto imputato alla parte lealista/unionista e alle forze regolari britanniche e ancora meno dei piccoli ma emblematici scontri tra civili, un sorta di guerra intestina frammentata nel conflitto settario generale che ha contribuito a rendere così spaventoso il numero di quasi 3.500 morti, più della metà civili nordirlandesi: un bilancio in effetti limitato rispetto a quello di altre guerre ma, ribadisco, maturato in un contesto assolutamente particolare e in circostanze realmente sconcertanti.

I Troubles sono ufficialmente finiti con l’Accordo del Venerdì Santo dell’aprile 1998, anche se non sono mancanti scontri e episodi di violenza successivi. Oggi le città dell’Irlanda del Nord, soprattutto Belfast e Derry, drammaticamente coinvolte nel conflitto e profondamente cambiate da esso – anche nell’urbanistica, con la costruzione dei muri divisori tra quartieri cattolici e protestanti, un’altra circostanza incredibile e sconcertante – sono tornate a una sostanziale normalità. O sembrano così tornate, dacché a ben vedere – anzi, a ben percepire, la tensione nell’aria resta ancora palpabile: sia perché la storia dei Troubles è ancora recente, sia perché nelle città le tracce di quella storia sono ancora evidenti, sia dacché gli attriti tra le parti non si sono mai risolti del tutto.

Il libro di Silvia Calamati (che peraltro ne ha dedicati altri alla questione del conflitto nordirlandese) risulta fondamentale per capire questo frammento – o macigno – di storia europea così emblematico e, come detto, illuminante non solo per quel contesto geopolitico; la lettura in certi passaggi è rabbrividente, sappiatelo, ma non può essere altrimenti: la conoscenza compiuta del conflitto lo necessita. È una storia poco conosciuta e sovente travisata di una regione europea splendida e di un popolo – un popolo, sia chiaro – tormentato che merita di essere messa in chiaro e finalmente approfondita a dovere.