Roald Dahl, “Il libraio che imbrogliò l’Inghilterra” (Guanda)

cop_dahl_libraioCredo sia abbastanza inutile che io, qui, mi metta a dissertare e a dirvi chi fosse Roald Dahl, e quanto grande sia la sua fama come scrittore di capolavori letteraria per bambini e ragazzi. Forse potrebbe essere già più utile, dacché probabilmente meno noto, denotare che al di là della sua celeberrima produzione per i lettori più giovani, lo scrittore gallese (ma norvegese d’origine) produsse anche alcune opere per adulti. Due dei suoi racconti – un tempo si sarebbero probabilmente definiti novelle –  sono contenuti ne Il libraio che imbrogliò l’Inghilterra (Guanda, Parma, 1996/2009, traduzione di Massimo Bocchiola; orig. The Bookseller, 1986): l’uno dà il titolo al libro, il secondo è Lo scrittore automatico (orig. The Great Automatic Grammatisator, 1953), ed entrambi sono due piccoli ma luminosi gioielli.
Ne Il libraio che imbrogliò l’Inghilterra si racconta d’un venditore di libri rari che, con l’aiuto della propria segretaria/amante, trova un modo alquanto furbesco e apparentemente sicuro di ingannare numerosi ricconi britannici e spillare loro parecchi soldi, finché nella loro truffaldina missione si materializza la classica eccezione che conferma la regola; ne Lo scrittore automatico il protagonista è un aspirante scrittore regolarmente rifiutato dalle varie case editrici a cui invia i propri manoscritti, il quale decide di vendicarsi di tali dinieghi – ovvero degli editori-soloni che ne sono i banditori – sfruttando le proprie conoscenze tecnologiche e costruendo una macchina in grado di creare opere letterarie irrefutabili.
Ho già praticamente rivelato, lì sopra, cosa mi ha generato la lettura di questo libro: una notevole delizia, e un godimento che si è composto pagina dopo pagina degli stessi elementi di cui si compone la scrittura di Dahl, raffinata, elegante, quasi classica per certi aspetti ma al contempo frizzante, ironica quando non sarcastica, fino ad apparire quasi irriverente pur senza mai mettere da parte la suddetta raffinatezza. In effetti, mi viene da considerare quanto questi testi riservati a lettori adulti presentino comunque molte delle caratteristiche che hanno reso celeberrima la scrittura per l’infanzia di Dahl: la ben percepibile e vibrante vena creativa, il costante supporto della più fantasiosa inventiva nonostante l’apparente sobrietà narrativa, la mirabile capacità di tratteggio di scenografie e personaggi sì da renderli alquanto vividi nella mente del lettore – sì, anche in quello adulto, solitamente molto meno fantasioso del lettore bambino, i dialoghi serrati e semplici eppure a loro volta frizzanti, e l’immancabile visione sagace e canzonatoria tesa a mettere in luce certe stranezze, per così dire, di quegli ambiti in cui le storie narrate si svolgono – particolarmente evidente, questa peculiarità, ne Lo scrittore automatico, ove viene sostanzialmente sbeffeggiata la capacità degli editori di saper realmente valutare la bontà letteraria delle opere ad essi sottoposte ovvero il talento autentico dei loro autori.
Non c’è che dire, insomma: Dahl mette a frutto e utilizza pienamente – con perfetta “contestualizzazione” – la sua grande capacità di scrittura di storie per ragazzi, riuscendo a imbastire testi all’apparenza di segno diverso, quando non opposto, ma invero completamente concordi a quella sua capacità e, in generale, al proprio stile narrativo. Ciò accade, io credo, anche perché, a differenza di quanto molti potrebbero ritenere, la letteratura per l’infanzia è un genere ben più difficile da scrivere e da rendere logico – sembra un paradosso, ma non lo è affatto – rispetto alla letteratura per adulti. Non è vero che il maggior uso di fantasia e creatività possa consentire un più vasto raggio d’azione narrativa e, di contro, una minor attenzione all’ammissibilità del narrato: credo piuttosto che queste tipiche caratteristiche della letteratura per ragazzi impongano un ben maggiore controllo delle storie, dei personaggi, delle narrazioni, ancor più se – è il caso della produzione di Dahl – non ci si limiti alla mera scrittura di classiche storie ma si voglia farcirle di ulteriori peculiarità narrative, tematiche e letterarie. I libri per ragazzi di Dahl sono pienamente rappresentanti il genere ma non mancano – ribadisco – di essere pure a loro modo irriverenti, pieni di personaggi che noi adulti definiremmo ribelli o politicamente scorretti (ovvero tali rispetto alle ordinarie regole che governano l’infanzia nelle nostre società), dotati d’una costante carica ironica che non diviene mai banale o “infantile” ma resta sempre vivacissima e arguta, pur restando del tutto assimilabile anche da parte dei lettori più piccoli. In base a ciò, credo che qualsiasi autore letterario che si rispetti (sto scrivendo anche a me stesso ora, sia chiaro!) dovrebbe almeno una volta nella propria carriera scrivere e portare a compimento un opera per ragazzi: sarebbe un validissimo sigillo al valore della carriera stessa e, soprattutto, al talento di chi ne è protagonista.
Torno, per chiudere, a quanto ho scritto in principio di questo articolo: non serve che io, da (modesto) ultimo ma certamente non ultimo della serie, vi venga a dire quanto sia grande Roald Dahl. Semmai, mi auguro che gli adulti non lo lascino confinato al suo “ruolo ufficiale” di scrittore per ragazzi, e scoprano come la stessa luminosa fantasia si trova nelle sue opere per adulti, delle quali, ribadisco, Il libraio che imbrogliò l’Inghilterra è tra gli esempi migliori e più intriganti. Che poi, a ben pensarci, non è che perché si sia adulti non si possa leggere pure libri per ragazzi: anzi, credo che tali letture, ogni tanto, non potrebbero che farci bene, rendendoci più consapevolmente tanto quanto argutamente “grandi”!