Consentitemi di esprimere subito una considerazione d’un genere che, solitamente, rimarco alla fine di queste mie “recensioni”, e che posso titolare con qualcosa del genere: Keller Editore, chapeau! Perché realmente l’editore trentino ha intrapreso una strada d’una tale onestà professionale e intellettuale, di così intelligente gestione commerciale e, in primis, di tanto alta qualità letteraria da meritare che il suo giù consistente successo – per un editore ancora “piccolo” sotto molti aspetti – non possa che accrescersi sempre più. Alla faccia di certa grande editoria che di grande ho forse i numeri in bilancio ma sempre più inversamente proporzionale all’etica professionale e alla qualità dei suoi cataloghi!
Bene, posto ciò – che è anche un piccolo sfogo personale atto a rimarcare che la buona editoria, quella fatta di qualità e non di quantità, si può fare, in Italia: basta volerlo, e aggiungere a tale volontà una relativa e adeguata lucidità imprenditoriale e culturale – capirete forse già il tono della parte specifica di questo mio articolo, quella dedicata a La morte dei caprioli belli di Ota Pavel (Keller, 2013, traduzione di Barbara Zane, postfazione di Mariusz Szczygieł; orig. Smrt krásných srnců, 1971), ennesima dimostrazione delle capacità di Keller di cercare e trovare piccole/grandi perle letterarie di valore assoluto sconosciute da noi.
Ota Pavel è stato uno dei più grandi e stimati scrittori cecoslovacchi – poi cechi. Dalla vita breve e sfortunata – morì a soli 42 anni dopo aver sofferto a lungo di depressione – dopo una carriera come cronista sportivo ha lasciato alcune opere considerate fondamentali per la produzione letteraria esteuropea del secondo Novecento, che denotano il suo peculiare stile estremamente sensibile e ricco nonostante l’apparente semplicità e leggerezza, costantemente ironico e comunque sempre fine anche nei momenti più drammatici. La morte dei caprioli belli racconta in buona sostanza la storia della sua famiglia – di cognome Popper fino alla salita al potere del Partito Comunista Cecoslovacco – prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale e durante il conflitto, quando il paese fu invaso e soggiogato dai nazisti e la famiglia Popper dovette lasciare Praga per rifugiarsi in un piccolo paese di provincia, nel quale tuttavia non riuscì a sfuggire alle persecuzioni naziste, anche in forza dell’appartenenza del padre alla comunità ebraica.
Proprio il padre dell’autore è il protagonista principale dei vari episodi che, come in una raccolta di racconti a tema, compongono il romanzo. Un padre vitale, ingegnoso, dall’insuperabile talento per il commercio – e per la vendita di elettrodomestici svedesi Electrolux soprattutto – e l’altrettanta passione per la pesca, donnaiolo ma mai oltre il limite stabilito dal controllo della pur bella (e a sua volta corteggiata da tanti) moglie, che trascina nelle proprie iniziative l’intera famiglia, tra momenti di grande benessere ed altri di miseria incipiente nel mentre che intorno, quasi allì’improvviso, il mondo cambia drasticamente per ben due volte in poco tempo: prima con l’invasione dei nazisti, appunto, e quindi con l’ascesa al potere dei comunisti.
In veste di figlio minore ovvero del più piccolo in famiglia, prima da poco più che bambino e via via sempre più adulto, Pavel racconta le vicende attraverso una scrittura leggere a delicata, come ribadisco, raffinata ma non troppo e di contro mai fuori dalle righe, sempre capace di cogliere, delle varie situazioni di vita descritte, il nocciolo emotivo, la parte più intima e conservante il senso di esse, il valore più profondo e più umano. In certi passaggi l’ironia – la comicità quasi – la fa da padrona, in altri si rischia seriamente di commuoversi ovvero che ci venga toccata la parte più emotiva e istintiva – e ciò accade soprattutto in quegli episodi il cui sfondo è la presenza, cupa e feroce, degli invasori nazisti, che contrastano in maniera forte con la leggerezza vitale e creativa del padre dell’autore.
In fondo, quella narrata da Ota Pavel è la storia di milioni di famiglie europee investite dalla tragedia del conflitto e da tutta la malvagità – d’ogni genere e sorta – da esso scatenata: ciò spiega il grandissimo successo del libro in patria, al di là delle censure che il testo subì coi comunisti al potere, i quali eliminarono le parti in cui l’autore descrive il disincanto del padre, dopo l’iniziale entusiasmo, verso la “rivoluzione” socialista promessa dal Partito Comunista Cecoslovacco e rivelatasi tutt’altra e drammatica cosa. Ma La morte dei caprioli belli ha tutte le peculiarità letterarie per poter essere considerato un piccolo/grande classico della narrativa europea (e non solo est-, dunque) novecentesca, di quella narrativa di altissima qualità che intrattiene e nel contempo suscita riflessione e meditazione, lasciando nel lettore la sensazione preziosa – se così posso dire – d’aver avuto accesso durante la lettura a una dimensione culturale (in forma di libro/romanzo/testo narrativo) arricchente e necessaria.
Da leggere, insomma. E ora, mi auguro, quel mio inopinato incipit su Keller vi sembrerà molto più consono e doveroso.