Marco Pastonesi, “Se cadono tutti vinco io. Dino Zandegù: cento storie vere al 90%” (Ediciclo Editore)

Quand’ero ragazzino il ciclismo mi piaceva tantissimo: le telecronache dei Giri d’Italia o dei Tour de France mi tenevano incollato alla TV per ore e giorni interi, e non dico che conoscessi i nomi di tutti i ciclisti in gara ma quasi. Poi il doping diffuso, certi casi eclatanti al riguardo e un’indifferenza da parte della stampa che a me pareva omertosa mi hanno disilluso del tutto sulle gare ciclistiche e sui loro protagonisti. Però il fascino del “vecchio” ciclismo rimaneva, alimentato da campioni leggendari, imprese epiche, storie affascinanti e altre cose tra le quali quelle grosse biglie trasparenti con dentro facce e nomi dei corridori più importanti con le quali si potevano organizzare delle gare, sulle spiagge durante le vacanze al mare o altrove.

In una di quelle biglie con cui giocavo c’era la faccia e il nome – anzi, il solo cognome – di Zandegù. Almeno a me pare così (è passato quasi mezzo secolo, in effetti) e comunque il suddetto me lo ricordo negli anni Ottanta, non più in sella e in gara ma alla guida delle “ammiraglie” in veste di direttore sportivo di alcune delle più forti squadre. Poi basta, svanita la mia passione per il ciclismo è svanito anche Zandegù e gli altri pedalatori. Fino a una dozzina d’anni fa, quando per conoscenze reciproche me lo ritrovo di fronte, inizialmente non riconosciuto del tutto (il nome mi diceva molto, il volto meno), in veste di venditore di vini pregiati prodotti da un altro ex grande del ciclismo italiano, Francesco Moser. Ma, come è immaginabile, non mi ci volle molto per ricollegare i puntini e tracciare con nitidezza la storia che mi era improvvisamente apparsa davanti. Sì, era quel Zandegù, quello dentro la biglia con cui giocavo, il ciclista vincitore di molte corse prestigiose, di ori ai mondiali su pista, di tappe al Giro d’Italia e di classiche del Nord. E il vivace cantante che, appesi definitivamente biciclette e ammiraglie al chiodo, frequentava spesso alcune note trasmissioni televisive deliziandone gli spettatori con le sue doti canore peraltro da sempre manifestate, anche quando pedalava per le strade del mondo, nel gruppo durante le corse o sui palchi delle premiazioni.

D’altro canto non avevo bisogno della TV per avere piena certezza della simpatia, della cordialità, dell’estroversione, delle capacità affabulatorie (e della bontà dei vini che vende) di Dino Zandegù, già ampiamente manifestate durante i nostri incontri nei quali, posta la confidenza ormai instaurata, ci ritroviamo a parlare di tutto e di più. Un “personaggio” nel senso più pieno e frizzante del termine, Zandegù, un uomo dalle mille energie e dagli altrettanti talenti, uno spirito libero, un pazzo scatenato, a suo modo un genio e comunque una di quelle persone la cui permanente allegria te le rende sempre belle e gradevoli da incontrare.

Marco Pastonesi, cronista sportivo di lungo corso per “La Gazzetta dello Sport”, conferma e se possibile rilancia tutto quanto ho scritto su Dino Zandegù e ciò che chiunque lo conosca potrà pensare di lui (soprattutto nel bene, se qualcuno anche nel male amen, è la vita) e lo fa da par suo in Se cadono tutti vinco io. Dino Zandegù: cento storie vere al 90% (Ediciclo Editore, 2023), sorta di originale “biografia a tappe” (ben cento!), dal titolo quanto mai significativo e per certi versi programmatico, di uno dei ciclisti e degli sportivi italiani più estroversi di sempre.

Perché sì, ovviamente nel libro il ciclismo è la base sulla quale tutto nasce e si genera, ma quello vissuto e interpretato da Dino Zandegù è un ciclismo nel quale l’arte agonistico-pedalatoria non è mai disgiunta da quella teatrale, da commediante geniale e originale che interpreta ogni corsa come un palcoscenico sul quale limitarsi a recitare soltanto la “parte” assegnata – quella di pedalare più o meno in armonia con i propri compagni di squadra e cercare di arrivare più in alto possibile nella classifica finale – è vista come una cosa trascurabile, una scortesia nei confronti dei tifosi e del pubblico nonché, forse anche di più, di se stessi e della propria personalità. D’altro canto, come ho già affermato, Zandegù è una di quelle persone dai talenti molteplici, ovvero dotate della capacità di trasformare in doti variamente utili la propria grande vitalità, la voglia di vivere il mondo da protagonisti anche quando si deve fare i gregari, il mix a volte ingarbugliato di genuinità, astuzia, genialità, follia… Se non avesse fatto il ciclista – e bene, vista la lunga lista di vittorie – avrebbe potuto fare il cantante, come detto – il repertorio musicale è forse ancora più lungo di quello ciclistico – così come oggi sa fare benissimo il mercante vinicolo e pure quello editoriale (gliene ho acquistate tre copie di questo libro, non so nemmeno perché e sono ben contento di averlo fatto!) ma sono certo che qualsiasi altra attività gli sarebbe uscita altrettanto bene e con un’interpretazione di pari bravura e simpatia.

Nei cento capitoli che compongono il libro, alcuni lunghi poche righe, altri qualche pagina, tutti invariabilmente divertenti da leggere – veramente come cento tappe del tour lungo la vita di Zandegù, percorsa pressoché interamente sui pedali dell’ironia, della scanzonatezza ma pure di una joie de vivre che va ben oltre il mero divertimento per le vicende combinate dacché parimenti denota la capacità di Zandegù di porsi sempre con massime onestà e franchezza nei confronti delle cose della vita – dicevo, nei cento capitoli del libro Marco Pastonesi ce lo racconta con grande garbo letterario e meravigliosa fascinazione narrativa, componendo un ritratto del protagonista (chissà poi dove starà il 10% di cose inventate in ciò che si legge… ma credo che tale incertezza in fondo alimenti l’appeal narrativo del libro) che, sono certo, lo renderà simpatico – termine da interpretarsi nella sua etimologia originaria, dal greco συμπάϑεια, sympatheia ossia “affezione, sentimento”, dunque non solo un sinonimo di “divertente” – anche a chi non lo conosca granché o non sia un appassionato di ciclismo. A leggere il libro facilmente ci si affezionerà a lui, insomma, che definire semplicemente “ciclista” al pari di mille altri è veramente riduttivo, quasi irrispettoso. D’altronde, come ho detto, Zandegù ha sempre interpretato il suo sport in maniera personale, originale, a volte ribelle, da matto che forse è genio e viceversa, comunque in un modo che lo ha reso un’icona del ciclismo e dello sport in generale. Tanta roba, si direbbe oggi e, soprattutto, roba rara ormai, da ammirare se non venerare – magari con l’aiuto di un bicchiere di ottimo nettare divino (o meglio, di-vino!) – e comunque da conoscere.

Libro veramente divertente e da leggere, se siete appassionati di ciclismo e se non lo siete affatto, anzi, forse più la seconda. Tanto non lo diventerete, credo, ma “appassionati” di Zandegù probabilmente sì.