Giovanni Baccolo, “I ghiacciai raccontano” (PeoplePub)

Ho passato tutte le estati della mia gioventù – dai due ai vent’anni, in pratica – in alta Valle Spluga, in una località a 1800 metri di quota dalla quale si potevano ammirare buona parte delle montagne, tutte superiori ai 3000 metri, che delimitano la valle verso la Svizzera: un panorama di grande bellezza che in me s’è fatto paesaggio interiore e luogo dell’anima, presso il quale torno spesso e volentieri. Di quel paesaggio i ghiacciai che adornavano le vette maggiori erano una presenza fondamentale e referenziale: non solo semplici macchie bianche tra i vivaci colori estivi che richiamavano l’inverno e sancivano il carattere autenticamente alpestre del luogo, ma elementi che ne determinavano l’identità e davano contenuto antropologico (oltre che estetico) alla relazione culturale che si intratteneva con esso. In parole povere: quelle vette erano ciò che apparivano proprio grazie alla presenza dei rispettivi ghiacciai, dunque la visione e la percezione del paesaggio locale dipendeva grandemente dalla loro realtà geografica glaciale.

Ci sono tornato varie volte lassù, come detto; più lungamente del solito nel 2022, e ciò mi ha concesso più tempo per osservare il paesaggio. Era fine agosto, l’inverno era stato parco di neve e l’estate torrida (ormai la normalità meteoclimatica degli ultimi anni). I ghiacciai così “presenti” e referenziali per le montagne della zona, così luminosi nei miei ricordi e importanti per il legame personale con il luogo, erano scomparsi, divenuti smorti o talmente esigui da sparire dietro le morfologie delle cime che ora mi apparivano in gran parte grigie, senza più il biancore nivoglaciale che le caratterizzava e rendeva luminosamente evidenti e dominanti lungo la dorsale che chiude la valle. Sembravano quasi altre montagne, diverse insomma; a osservarle in certe foto di grande formato che tutt’oggi adornano i ristoranti e i bar della zona, parevano comporre il panorama di un’altra zona alpina oppure raffigurate in immagini d’epoca di chissà quanto tempo fa. Invece il cambiamento, lassù come altrove sulle nostre montagne, è stato rapido oltre che in crescendo di anno in anno. Impressionante e straniante.

Stavo osservando una trasformazione epocale del paesaggio, che i ghiacciai della zona più di ogni altro elemento geografico manifestavano con forza, come mille parole non avrebbero potuto fare meglio. A modo loro mi stavano raccontando una storia, quei ghiacciai.

D’altro canto i ghiacciai possono apparire in questo modo, “soggetti narranti”, non solo perché rappresentano i più efficaci e infallibili indicatori di ciò che sta accadendo al clima dei monti che li ospitano (e non solo di quelli), ma anche perché dei monti sono gli elementi più “vivi”: si muovono verso valle, si gonfiano, si assottigliano, rumoreggiano, si spaccano… Ma se noi persone normali, pur appassionati di montagna, questa vitalità la possiamo cogliere ma non del tutto comprendere, è la glaciologia la scienza che ne studia il “battito”, la peculiare fisiologia, e che sa comprenderne appieno i “racconti”. Giovanni Baccolo, che glaciologo lo è e tra i più stimati d’Italia, mette per iscritto le narrazioni delle grandi regioni glaciali del pianeta in I ghiacciai raccontano (People Edizioni, 2024, con prefazione di Pietro Lacasella e illustrazioni nel testo di Betula Stuff), rivelandone l’incredibile quantità e l’affascinante qualità “narrativa”, cioè la capacità che i ghiacciai hanno di raccontarci molto di più di ciò che si potrebbe immaginare e legare al mero ciclo della neve e dell’acqua ghiacciata.

Baccolo accompagna il lettore prima in un viaggio nella scienza glaciologica, fornendogli alcune delle nozioni fondamentali per identificare i ghiacciai del pianeta e per cominciare a comprenderne la “vitalità”; quindi lo conduce a esplorare alcune delle più importanti e emblematiche regioni glacializzate della Terra, con ovvio ampio spazio dato a quelle artiche, antartiche e polari delle quali tanto subiamo il fascino quanto poco capiamo la reale, fondamentale importanza per gli equilibri climatici e ambientali dell’intero pianeta – troppo lontane, troppo “nascoste” alla vista, forse troppo mitizzate in senso letterario. Proseguendo il viaggio narrativo del libro, l’autore riporta il lettore sulle Alpi, le nostre montagne e presso i nostri ghiacciai, quelli che meglio conosciamo e dei quali peggio subiremo la loro estinzione, per i tanti problemi e le altrettante variabili critiche che la fusione degli apparati glaciali alpini si porta appresso, a partire dalla mancanza di quella che fino a oggi è stata la più importante riserva d’acqua potabile a nostra disposizione.

A corollario delle pagine prettamente “glaciologiche” Baccolo racconta alcune vicende di figure fondamentali per la nascita della scienza dei ghiacciai e per la comprensione collettiva dei suoi fenomeni (mai sentito parlare di Alfred Wegener? Eppure è tra le personalità scientifiche più importanti del secolo scorso!), così come di luoghi particolarmente emblematici al riguardo (ad esempio Camp Century, luogo degno di uno degli episodi più fantasiosi della saga di James Bond) o di fatti che hanno contrassegnato l’immaginario collettivo diffuso – uno su tutti, recente e tragico, il crollo di una parte del Ghiacciaio della Marmolada, nel luglio 2022.

In tutto ciò, anche nelle pagine che presentano nozioni scientifiche più elaborate e di meno facile comprensione immediata (ad esempio quelle che descrivono i meccanismi di feedback climatico) I ghiacciai raccontano rivela una dote che ho trovato sensazionale: la capacità dell’autore di spiegare cose anche complicate, appunto, e comunque non di così abituale divulgazione, in maniera semplice e comprensibile ma ciò senza affatto impoverire il linguaggio, semmai utilizzando le giuste parole nel posto giusto. Il libro infatti si mantiene costantemente e facilmente leggibile dalla prima all’ultima pagina, conservando anche una certa verve letteraria che di rado si riscontra in molti saggi di matrice scientifica, nonché la fascinazione di un diario di viaggio “passionale” attraverso i grandi ghiacciai del pianeta, dentro la cui narrazione Baccolo veicola molti dei concetti glaciologici principali e più importanti da conoscere. Veramente così i ghiacciai diventano autentiche entità narranti, “creature” che hanno attraversato i secoli e la storia dell’umanità spesso condizionandone l’esistenza, fino a che non è accaduto il contrario e la crisi climatica antropogenica ha cominciato a minacciare e spesso a condannare definitivamente la presenza sui monti dei ghiacci che un tempo a scuola venivano definiti “eterni” – un tempo niente affatto lontano, ahinoi.

A tal proposito mi tornano in mente certe raffigurazioni pre-romantiche dei ghiacciai, rappresentati in forma di mostri serpentiformi calanti dalle alte vette montane per minacciare le genti dei villaggi alpini con le fauci delle loro fronti spalancate e irte di minacciosi denti-seracchi… come creature realmente vive, insomma, dunque a modo loro dotate di “voce” (che in effetti si può identificare nel suono cupo dei seracchi) e capaci di manifestare la loro storia, di raccontarla, un tempo guarnendola di spaventose “minacce” (almeno così intese dai montanari e di chi ne raffigurava i timori al riguardo, come detto) e poi, dopo che gli uomini hanno saputo ammansirle e addirittura ammaestrarle al punto da camminare sui loro corpi glaciali fino a raggiungere alpinisticamente le vette dalle quali scendevano, narrandola in modi più dimessi, a volte lamentosi, meno capaci di un tempo di farsi ascoltare e capire fino all’accorata sofferenza odierna, quando il loro racconto a volte diventa un urlo spaventoso e purtroppo letale – come è accaduto in Marmolada, appunto. Ascoltare i ghiacciai, oggi, significa manifestare grande sensibilità nei confronti delle montagne, dei loro paesaggi, degli ecosistemi che le caratterizzano e del futuro che le attende, dunque anche una preziosa sensibilità nei nostri confronti, che dalla presenza dei ghiacciai sulle montagne (ovvero dalla loro assenza) dipendiamo molto più di quanto crediamo.

Infine, Baccolo rimarca che ogni racconto, una volta ascoltato e compreso, diventa memoria il cui valore, ovviamente, permane ma solo se costantemente rammentato. Ciò vale anche per i ghiacciai e per le innumerevole storie che sanno raccontare, come scrive l’autore nel capitolo finale del libro (pagine 199-201):

I ghiacciai, al pari di tante altre manifestazioni del mondo naturale, nascondono un’infinità di storie. Quelle proposte in queste pagine sono state scelte per mostrare un minimo assaggio di tale complessità e varietà. I ghiacciai sono importanti per noi e per il pianeta e, sicuramente, la Terra sarebbe profondamente diversa da come la conosciamo se essi non esistessero. […] I ghiacciai sono un elemento identitario del paesaggio di montagna. Dai triangolini bianchi disegnati dai bambini sulle montagne ai manifesti delle località turistiche alpine, i ghiacciai vengono spesso utilizzati come strumento capace di rappresentare l’ambiente montano. Nel nostro immaginario sono un concentrato di naturalità alpestre. Tra cento anni questo sarà ancora attuale? Probabilmente no. […]  C’è il rischio che ci si dimentichi dei vecchi ghiacciai e dei potenti messaggi che stanno trasmettendo estinguendosi. Questo non deve succedere. Tanta parte dell’impegno che metto nel divulgare la glaciologia e le storie legate ai ghiacciai viene proprio da questa volontà.

Insomma: I ghiacciai raccontano è un libro bellissimo, affascinante e per molti versi sorprendente, lo ribadisco, oltre che importante. Da leggere assolutamente.