Senza nulla togliere ad altri spazi del mondo nel quale viviamo, le montagne sanno identificare in modo profondo e compiuto il significato antropologico del termine “luogo”, ove con questo si intenda uno spazio verso il quale l’uomo elabori una relazione di matrice culturale – interagendovi, modificandolo, abitandolo, sfruttandolo ma anche semplicemente contemplandolo – che conferisca allo stesso un’identità ugualmente culturale referenziale e riconoscibile, quella a cui i Romani avevano dato il titolo di Genius Loci. Nonostante l’aspetto naturale apparentemente intatto, anche dove questo sembri del tutto evidente, tra le montagne, e in special modo in quelle che si elevano nelle zone più antropizzate del mondo (dunque Appennini e Alpi, per noi), sono ben pochi gli angoli che non mostrano i segni della presenza e dell’attività storiche dell’uomo, d’altro canto è cosa risaputa che proprio la catena alpina rappresenta la regione montuosa più antropizzata del pianeta nonché quella forse sottoposta alla più estesa mediazione culturale, in termini di immaginario e non solo. Se tale caratteristica implica da un lato numerose problematiche ben intuibili, soprattutto riguardo la salvaguardia dell’ambiente naturale alpino, dall’altro ha conferito alle Alpi un’anima potente e profondamente evocativa, colmata lungo i secoli di storie, relazioni e narrazioni umane al punto da poterle considerare, le Alpi nel complesso, un iper luogo nell’accezione positiva della definizione antropologica (la quale diventa negativa nel caso del luogo sovraccaricato, anche forzatamente, di significati: spesso la città è così). Ciò rende ancora più inquietanti quei processi di turistificazione dissennata così frequenti un po’ ovunque, lungo la catena alpina, che invece rischiano di trasformare certi ambiti alpini prima in iper luoghi in senso negativo e poi addirittura in non luoghi, sorta di orrende periferie in quota delle aree metropolitane funzionali alla massificazione turistica e pressoché antitetiche a qualsiasi idea di montagna autentica.
Fortunatamente, pur tra i numerosi disastri a cui ho fatto appena cenno quali effetti non sempre collaterali dell’antropizzazione diffusa, le Alpi conservano ancora ampi spazi geografici liberi dall’eccesiva presenza umana, che come libri antichi e preziosi sui quali s’è impressa la storia dei monti in loco e di chi li ha in vario modo vissuti, sono capaci di raccontare meravigliose storie che aspettano solo d’essere còlte, lette e ascoltate, comprese e amate. Per scovare alcune di quelle tra le più significative, emblematiche e affascinanti, s’è messo in cammino lungo le Alpi uno scrittore che assai spesso ha scritto di montagne in modi vari ma sempre notevoli: Franco Faggiani, tra i pochi a saper narrare i monti senza quella retorica a metà tra il romanticismo decaduto e la retorica conformista che spesso caratterizza la cosiddetta “letteratura di montagna”. Il risultato di quei suoi cammini alpini è Le meraviglie delle Alpi (Rizzoli/Mondadori, 2022), vero e proprio diario geografico più che cronologico tra le cui pagine Faggiani ha condensato la narrazione di dieci itinerari montani lungo la catena alpina, da Occidente a Oriente, ciascuno dotato di un tema peculiare legato alla storia e alla geografia dei luoghi e per ognuno dei quali l’autore si è fatto accompagnare da un personaggio locale, conoscitore particolare delle montagne attraversate, così da incrociare le rispettive esperienze – quella del viandante esploratore e quella dell’indigeno esperto – lungo il cammino per acuire la percezione dei luoghi e delle loro peculiarità.
Posso solo immaginare il lavoro intellettuale di cernita dei dieci itinerari narrati, ben sapendo quanti altri innumerevoli lungo tutte le Alpi (che sono un iper luogo anche da questo punto di vista, dacché basta a volte cambiare il versante di percorrenza di una valle per cambiare considerabilmente la visione culturale del suo territorio, con tutti gli annessi e connessi) avrebbero potuto meritare di essere raccontati. D’altro canto Faggiani, come ho già denotato, è un profondo conoscitore delle montagne italiane e, al di là del mero criterio geografico, posso certamente dire che la sua scelta è stata oltre modo felice, per come abbia camminato in regioni montane ciascuna speciale per proprie peculiarità ma, al contempo, capaci tutte insieme di fornire una visione unitaria della catena alpina in quanto macro-regione antropologica e culturale nella quale, se è vero come ho scritto che da una valle all’altra oltre al paesaggio sovente cambiano usi, costumi, tradizioni, parlate e quant’altro, è altrettanto vero che in molti casi è possibile rintracciare una sorta di bagaglio culturale comune per tutti i territori alpini, nel quale sono riconoscibili antichi (se non ancestrali) saperi che la secolare vita in quota ha reso peculiari nella forma ma simili nella sostanza. Ma è un’indagine, questa, che si può condurre solamente attraversando le Alpi a piedi, entrando nel profondo geografico, storico e umano dei monti, delle valli, dei villaggi, degli alpeggi, svolgendo la lettura del grande “libro alpino” capitolo dopo capitolo tenendo sempre ben in mente quanto letto fino a quel punto e facendone uno strumento di navigazione in quota costantemente aggiornato e sviluppato. Per di più quello delle Alpi è un libro geografico che non solo racconta innumerevoli storie ma è pure dotato del più spettacolare apparato iconografico pensabile: le sue vedute, i panorami, i vasti orizzonti, gli ambienti naturali: Faggiani – il quale peraltro nel libro si dimostra anche un fotografo bravo e sensibile – riesce costantemente a equilibrare, nella sua narrazione, i due elementi fondamentali del paesaggio alpino, quello naturale e quello antropico, rendendo ben chiara l’evidenza che l’uno è strettamente relazionato all’altro e nessuno dei due in modo vicendevolmente preponderante. D’altro canto il primo segno antropico con il quale l’uomo ha da sempre caratterizzato la sua presenza sui monti è proprio il sentiero, la primaria forma di territorializzazione, di trasformazione funzionale dei territori montani al fine di poterci vivere, lavorare, viaggiare. Il sentiero è ancora oggi il primo strumento che elabora la relazione che possiamo e dobbiamo avere con le montagne, ed è proprio percorrendo i sentieri alpini che si possono trovare e raccogliere le migliori, più intense e approfondite narrazioni umane, oltre che cogliere le più spettacolari vedute del paesaggio delle Alpi. Trovo di poter interpretare anche in questo modo il lavoro di Faggiani su questo libro, e la lettura da parte nostra: un’esortazione a camminare lungo gli itinerari proposti tanto quanto a scoprire tutti gli altri che ci sono e che regalano altrettante emozioni e percezioni, e camminare non soltanto lasciandosi ammaliare dalla bellezza delle montagne ma pure affascinare, o per meglio dire, educare dalla lunga e sovente virtuosa storia dell’uomo su di esse e dal rapporto storico che ha costruito con i territori montani. Un rapporto non certo idilliaco, spesso duro, di sopravvivenza anche più che di sussistenza, ma che è stato costruito sulla costante ricerca di un’armonia con la montagna, di una necessaria discesa a patti con il suo ambiente così soverchiante eppure tanto ricco di opportunità. In effetti è quasi paradossale pensare che l’uomo moderno il quale, con la sua tecnologia, avrebbe potuto conseguire un’armonia ancora più funzionale e virtuosa con le montagne, ha invece cominciato a rovinarle mentre quello di un tempo, che certo non generava sentimenti estetizzanti e positivi verso quell’ambiente alpestre così spesso difficile, ha elaborato con esso una presenza più equilibrata, e non penso sia solo una questione di differenti possibilità tecnologiche ma proprio di convenenze antropologiche e di una diversa sensibilità nei confronti la Natura, certamente più ingenua ma anche più armonica.
Farsi guidare da Franco Faggiani alla scoperta di queste meravigliose storie alpine, e delle loro altrettanto sublimi scenografie, rappresenta un’esperienza di lettura fascinosa – alla quale è stato un grande onore e un denso piacere partecipare, accompagnando Franco lungo la Dorsale Orobica Lecchese, l’itinerario tra Bergamo e Morbegno sulle tracce dell’antica cultura transumante dei bergamini, autentica e autoctona casta di creatori di prelibatezze casearie la cui bontà è celeberrima nel mondo. E se come affermavo poco sopra il libro a qualcuno potrebbe sembrare un’opera troppo parziale, in fondo ciò può ben rappresentare un ottimo motivo per andare in autonomia esplorativa alla scoperta di tutti gli altri innumerevoli cammini delle Alpi e delle loro storie e all’accrescimento della propria conoscenza al riguardo, ben sapendo che sarà come penetrare in un forziere ricchissimo di tesori inestimabili il cui valore chiede solo di essere percepito, analizzato, compreso e apprezzato.